Femminicidio: impatti e critiche

Pubblicato il 27 marzo 2025 alle ore 10:06

Lo scorso 7 marzo il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della giustizia Carlo Nordio, del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi, del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella e del Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha approvato un disegno di legge per l’introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.

Lo scopo del Governo è quello di promuovere un intervento ampio e sistematico per rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno di drammatica attualità delle condotte e manifestazioni di prevaricazione e violenza commesse nei confronti delle donne.

La nuova fattispecie penale di “femminicidio” viene sanzionata con la pena dell’ergastolo. In particolare, si prevede che sia punito con tale pena “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. In linea con tale intervento, le stesse circostanze di commissione del reato sono introdotte quali aggravanti per i delitti più tipici di codice rosso, con la previsione di un aumento delle pene previste di almeno un terzo e fino alla metà o a due terzi, a seconda del delitto.

Inoltre, il testo:

  • prevede l’audizione obbligatoria della persona offesa da parte del pubblico ministero, non delegabile alla polizia giudiziaria, nei casi di codice rosso;
  • introduce specifici obblighi informativi in favore dei prossimi congiunti della vittima di femminicidio;
  • prevede il parere, non vincolante, della vittima in caso di patteggiamento per reati da codice rosso e connessi obblighi informativi e onere motivazionale del giudice;
  • nei casi in cui sussistano esigenze cautelari, prevede l’applicazione all’imputato della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari;
  • interviene sui benefici penitenziari per autori di reati da codice rosso;
  • introduce, in favore delle vittime di reati da codice rosso, un diritto di essere avvisate anche dell’uscita dal carcere dell’autore condannato, a seguito di concessione di misure premiali; 
  • rafforza gli obblighi formativi dei magistrati, previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 168 del 2023; 
  • estende alla fase della esecuzione della condanna al risarcimento il regime di favore in tema di prenotazione a debito previsto per i danneggiati dai fatti di omicidio “codice rosso” e di femminicidio; 
  • introduce una disposizione di coordinamento che prevede l’estensione al nuovo articolo 577-bis dei richiami all’articolo 575 contenuti nel codice penale.

L’intervento si inserisce anche nel quadro degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul e nel solco delle linee operative disegnate dalla nuova direttiva (UE) 1385/2024 in materia di violenza contro le donne, nonché delle direttive in materia di tutela delle vittime di reato.

Ma davvero introdurre il reato di femminicidio è sintomatico di maggiore civiltà giuridica? Oppure si rischia di ledere i principi fondamentali dell’ordinamento penale?

La nostra Costituzione, in materia penale, vuole che ogni fattispecie incriminatrice sia certa e sufficientemente determinata nel suo nucleo fondamentale.

Come, a nostro avviso correttamente, ha fatto notare l’illustre prof. Fiandaca, la formulazione testuale della condotta punibile risulta gravemente indeterminata. Dai confini non definiti appare il concetto di “odio in quanto donna” (quale potere di accertamento avrebbe il giudice per poter raggiungere il grado di certezza della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio?).

Ed ancora, la norma colpisce più duramente il femminicidio rispetto al comune omicidio, così facendo presumere che il primo sia più grave del secondo (per il sol fatto che la morte sia stata inflitta a una persona di genere femminile). Senza dimenticare che il nostro ordinamento conosce tutta una serie di reati e di aggravanti (speciali ed anche comuni) per i reati violenti commessi a danno del coniuge, del convivente e del familiare.

Con queste riflessioni non vogliamo dire che le donne vittime di violenza non meritino tutela. Anzi. La tutela penale è doverosa, ma deve essere ragionevole e non generare discriminazioni nei confronti di chi, non essendo donna, si trova a subire gli stessi fatti illeciti.

Avv. Annalisa Nocera

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